LABORATORIO
Un tempo si chiamava bottega. Era il luogo dove si imparava facendo. Dove il sapere passava attraverso il fare, e il fare attraverso l’osservazione. Un banco di lavoro, una luce fioca che entra dalla finestra, qualche attrezzo sempre a portata di mano. Non c’era fretta. Non c’erano scorciatoie. Ogni cosa prendeva forma lentamente, con pazienza.
Questa pagina è la mia bottega. Uno spazio sospeso, non fisico ma mentale, dove tornare a sporcarsi le mani con la fotografia, a manipolare, sbagliare, ricominciare. Un luogo dove si lasciano da parte le aspettative, i risultati, le regole apprese, per tornare a interrogare la luce, il tempo, il gesto. Fotografare, qui, non è documentare: è provare.
In questa sezione raccolgo alcuni esperimenti, studi, deviazioni dal percorso principale. Fotografie nate spesso fuori dal tempo del lavoro: notturne solitarie, attese senza garanzia, silenzi. È il tempo in cui non ho certezze, ma ho voglia di capire se qualcosa può nascere da un’idea appena accennata, da una luce sottile, da un movimento imperfetto della mano.
Lavoro con il mosso, lo zoom creativo, il multiplo, lo spostamento laterale o verticale della macchina. Sono tecniche semplici, spesso ignorate, ma che se usate con consapevolezza possono restituire immagini cariche di tensione, atmosfera, profondità emotiva. Una strada, una siepe, una nuvola possono dissolversi in un velo, diventare materia quasi pittorica. Le cose non si mostrano più per come sono, ma per come si lasciano sentire.
Mi affascina il potenziale evocativo di queste immagini: il modo in cui la realtà si sfalda, si allunga, si stratifica, diventando qualcosa di nuovo. Un paesaggio può restare riconoscibile, ma perdere consistenza. Una città può diventare un’onda. Un albero, una scia.
Sono fotografie che non cercano la nitidezza, né la verità. Non hanno la presunzione di spiegare. Preferiscono evocare, far pensare, restare aperte. Ogni scatto è un tentativo di togliere, più che di aggiungere. Togliere precisione, togliere controllo, togliere razionalità.
Ecco allora Venezia che si striscia su se stessa, come se si muovesse nel tempo più che nello spazio. Ecco le colline che si sfaldano in piani sovrapposti, come veli di colore appoggiati uno sull’altro. Ecco un cielo che scende in terra, o un vapore che nasce da nulla.
Ogni scatto è una traccia di movimento, una forma di dialogo tra me, la macchina e lo spazio attorno. Non sempre riesce. Non sempre comunica. Ma quando succede — e capita in pochi fotogrammi — allora sento che qualcosa si è spostato. Dentro, prima ancora che fuori.
Questo laboratorio non è un portfolio. Non è una galleria. È una zona franca dove lascio che le immagini si formino prima di essere comprese. Una palestra per lo sguardo. Una camera oscura che ancora respira. Un modo per non smettere di cercare.